Verso una città policentrica ?

Come sottolineato nei precedenti paragrafi, anche da alcuni dati sul mercato immobiliare cominciano ormai ad emergere i primi segnali dell’evoluzione in corso nell’area torinese: le realizzazioni previste dai Piani regolatori stanno progressivamente materializzandosi, a Torino e in cintura. Anche gli osservatori più attenti (da noi intervistati), rispetto al capoluogo, concordano nel ritenere che il PRG sia ormai ad un buon stato di avanzamento, avendo anche mantenuto una certa coerenza rispetto alla sua originaria impostazione.
A molti la sfida attuale pare, piuttosto, quella di riuscire a coordinare interventi e progetti nati in momenti e con modalità, finalità, tempistiche e obiettivi tra loro spesso molto diversi (interventi del PRG, olimpici, metrò ecc.), che corrono il rischio di seguire strade proprie, estranee tra loro, magari conflittuali.


Per quanto riguarda le strategie attuali, Torino è rimasta fedele all’impostazione originaria del PRG, specie per l’impianto delle spine e il riuso delle aree dismesse.

Nel complesso, le idee base del PRG vengono confermate, ovviamente con gli adeguamenti necessari alle necessità connesse alla ridefinizione di un nuovo ruolo economico di Torino. In generale, rispetto al piano originario, siamo in una fase di ricerca, studio e completamento delle tematiche e dei concetti; direi comunque che non ci sono grossi progetti non realizzati o grandi modifiche.

Il PRG fondava le sue basi della trasformabilità fisica delle aree; il tema della Spina rimane il suo asse portante, consolidandosi come logica, ma individuando anche altri settori del territorio in maniera da trasformare la città in maniera più radicale rispetto a quanto previsto dal piano (es: Porta Nuova e scalo Lingotto).

Rimane forte la connotazione monumentale voluta da Cagnardi. Ad esempio, i grattacieli nei pressi di Porta Susa e quello della Regione sono un esempio lampante di questa monumentalità: devono essere di impatto e dare un segno forte.

E’ un momento eccezionale per la città: per ricollocare aree dismesse, riqualificare il centro storico e le periferie; il che, più in generale, significa riorganizzare i poteri attorno a una nuova rendita.

La caratteristica particolare di Torino è che, da un lato, c’è il PRG nuovo (che è un disegno di lungo periodo e di trasformazione in qualche modo gestita), dall’altro la presenza della Fiat e della sua crisi; ma anche l’opportunità delle Olimpiadi ed il rilancio e la riorganizzazione dell’economia torinese…

Il PRG torinese è sostanzialmente a metà strada, anche piuttosto realizzato rispetto ad altre metropoli (Roma, Napoli o Milano). Ma sono anche in corso profonde modifiche (spesso senza dire che stanno avvenendo), sempre più per passi singoli ed extra PRG.

A Torino, in verità, manca una strategia urbanistica unitaria. Ciò dipende in parte da ragioni estranee all’amministrazione (oggi si condensano trasformazioni pensate in tempi e con finalità molto diverse: metrò, 2-3 grandi edifici pubblici, le Olimpiadi…), ma in parte anche da un certa presunzione della classe dirigente torinese.




Secondo gli addetti ai lavori, molte delle scelte urbanistiche recenti sono coerenti anche con la linea strategica “Creare nuove centralità”, prevista dal Piano strategico Torino Internazionale. Non solo, infatti, si sta sviluppando un nuovo “centro” torinese (sull’asse della Spina centrale) non più coincidente con l’area storica (in particolare), ma anche in zone periferiche stanno sorgendo nuove importanti polarità: a sud gli insediamenti olimpici (ma non solo), a nord le trasformazioni sulla Spina 3.
Anche molti progetti dei comuni dell'area metropolitana (di cui s’è detto precedentemente) stanno acquisendo visibilità e rilevanza pubblica, permettendo a diversi centri dell’hinterland di liberarsi una volta per tutte dell’immagine di comuni-dormitorio.

La città si è rivolta negli ultimi anni al tema delle periferie con grande successo e quindi il tema delle trasformazioni urbane riguarda oggi l’area centrale, come le periferie cittadine, come le aree industriali dismesse. Ad esempio, Spina 3 è un’area finora considerata periferica, ma ormai è praticamente in centro, a due passi da piazza Statuto.

La città, negli ultimi anni, ha avviato una serie di interventi collocati nelle zone periferiche e quindi si sta lentamente riducendo la condizione di periferia come zona non dotata di servizi. Certo, i risultati di questi interventi si vedranno sul medio lungo periodo, non immediatamente.

Torino non è una città molto grande: l’integrazione centro-periferia non è così difficile da realizzare, indubbiamente l’accessibilità è l’elemento fondamentale per ridurre e mitigare il contrasto tra centro e periferie.

Tanti si chiedono perché costruire tanti uffici a Torino? Perché sono uffici che rispondono realmente alla domanda. Spina 3 si viene a configurare come una localizzazione ideale per le attività innovative, grazie alla presenza di operatori delle telecomunicazioni al Pier della Francesca, della Motorola,… della vicinanza con l’asse Torino-Milano e con l’aeroporto.


Nell’area metropolitana, c’è un crescente attivismo, specie da parte di alcuni comuni (ad esempio Rivoli, Settimo, Collegno), non più periferici, ma con sindaci e progetti forti, che sono riusciti a cambiare l’immagine di questi comuni.

Nell’area metropolitana ci sarà nei prossimi anni sicuramente un rafforzamento del primo anello, dovuto soprattutto alla facilità di raggiungerlo con la tangenziale: per gli insediamenti produttivi, i tre poli con la maggiore offerta sono Moncalieri, Settimo e Rivoli.

A Moncalieri sta partendo un grande complesso, città del commercio, multiplex e terziario…; il Movicentro sta godendo di uno sviluppo eccezionale, c’è un nuovo albergo disegnato con il modulo di Giugiaro. Anche a Settimo stanno facendo tantissime cose: insediamenti produttivi, recupero delle ex acciaierie, un progetto per città del cinema e dell’entertainment….



In questo quadro complessivamente ottimistico, i problemi che paiono emergere riguardano piuttosto, da un lato, un deficit di governance, dall’altro il rischio di non sfruttare a pieno l’opportunità del 2006.
Quanto al primo aspetto, da una nostra indagine tra i sindaci dell'area metropolitana, proprio l’urbanistica risulta uno dei settori maggiormente “sguarniti” sul versante della governance: “la scarsa attitudine a collaborare tra comuni in occasione della definizione di un piano regolatore viene candidamente ammessa dalla gran parte dei sindaci dell'area metropolitana” (L’Eau Vive, Comitato Rota, 2002, p.231).
Per quanto riguarda, in particolare, i rapporti tra capoluogo e area metropolitana, dopo un certo entusiasmo per l’avvio della conferenza metropolitana – un paio di anni fa –, oggi sembrano riemergere le tradizionali difficoltà di rapporti; spiegabili, secondo diversi osservatori, come un ritorno al particolarismo vocalista da parte di diversi comuni (Torino compresa), anche a causa dell’approssimarsi delle scadenze elettorali:

Sono un po’ venute meno le premesse di lavoro congiunto con gli altri comuni, dopo una prima fase di discussione sulla fattibilità di una città metropolitana, emerge in questo periodo una difesa campanilistica da parte delle città di Torino, ma anche da parte degli altri comuni.

Le possibilità di mettere in piedi un governo di carattere metropolitano sono oggi assolutamente remote: se ne parla ma non se ne fa nulla, non si pensa ad affrontare i problemi a carattere metropolitano; è un problema di cultura.

Non si riesce a vedere neanche la collaborazione tra comuni per cose importantissime che gioverebbero sia a Torino sia ai comuni limitrofi, come ad esempio il caso della bretella di corso Marche: il fatto che, a 10 anni dall’approvazione del PRG, non siano riusciti ancora a combinare niente è proprio sinonimo di un non voler collaborare.

Sarebbe importante arrivare ad una definizione di tutte le infrastrutture in sede fissa dell’area metropolitana, perché non è solo l’area centrale che deve essere servita ma bisogna pensare a costruire un equilibrio della città nel complesso.

Non esiste una strategia organica rispetto, ad esempio, al discorso della mobilità, ma invece esiste rispetto alla messa a reddito delle grandi aree (come Bor.Set.To., con strategie di ampio respiro e per territori di notevole valore.


Inoltre, sono in molti a temere che le stesse Olimpiadi possano rafforzare una sorta di ideale “asse” Torino-montagne, tagliando fuori proprio le “terre di mezzo”, ovvero tutta la fascia che va dalla prima cintura torinese alla parte più bassa delle vallate olimpiche.

Il 2006 è l’occasione per la riappropriazione delle montagne come limite di Torino, recuperando la tradizione dei viaggiatori di 700/800: Torino città delle montagne, le montagne come propaggine di Torino.

C’è il rischio che – in una visione molto torinese dei giochi olimpici (che cresce, giorno dopo giorno) – il capoluogo diventi ancora più polo attrattore, lasciando un ruolo di dormitorio o industriale alla sua cintura: nessun comune della cintura sta giocando una carta olimpica, tranne quelli che hanno delle delizie da proporre (es: Venaria con la Reggia); gli altri comuni della cintura guarderanno ai Giochi dalla finestra di servizio. Torino non sta facendo nulla per farne una chance di cultura metropolitana.



Anche una recente indagine (Dansero, Segre, Mela, 2003) – realizzata tra una cinquantina di testimoni qualificati delle aree olimpiche – conferma come il rischio di “esclusione” delle cinture metropolitane dalle chances olimpiche sia ormai largamente percepita: la maggior parte degli intervistati ha affermato, infatti, di ritenere che delle Olimpiadi beneficerà fondamentalmente Torino città (specialmente le aree Lingotto e Spina 3); più ambivalenti sono invece le attese per le valli e tendenti decisamente al pessimismo quelle relative, appunto, alle cosiddette “terre di mezzo”. Alla domanda su quali siano le aree presumibilmente avvantaggiate dalle Olimpiadi del 2006, le riposte sono state le seguenti: Torino 16, Lingotto 7, Spina Tre 4, le valli 4, provincia 3, centro di Torino 3, alta Val Susa 3, Pragelato 3. Invece, le risposte circa le aree presumibilmente svantaggiate dall'evento olimpico si sono concentrate su: periferie torinesi 4, le valli 3, "terre di mezzo" 2, bassa Val Susa 2.