Tra sostenibilità e partecipazione


E’ indubbio che la gran parte delle trasformazioni in atto siano dichiaratamente finalizzate al rilancio e allo sviluppo dell'area torinese Da più parti, però ci si comincia oggi ad interrogare sulla qualità di tale sviluppo, ovvero, in particolare, sulla sua quota di sostenibilità.
A più di dieci anni dalla sua affermazione, è ormai consolidata tra gli esperti l’idea di una tridimensionalità del concetto di sviluppo sostenibile: al tempo stesso, ecologica, economica e sociale. Per quanto riguarda la realtà torinese, le strategie trasformative in atto curano con particolare attenzione la dimensione economica dello sviluppo (il che, in un’epoca di crisi, specie della Fiat, è certamente comprensibile): molte delle recenti trasformazioni del tessuto urbano si pongono proprio l’obiettivo di creare nuovi poli di sviluppo economico e opportunità per il mercato (immobiliare, ecc.). E’ però impressione diffusa tra gli addetti ai lavori che le strategie di massimizzazione dello sviluppo economico rischino spesso di andare a discapito delle altre due dimensioni della sostenibilità, quella ambientale e quella sociale (le citazioni che seguono sono tratte dalla nostra indagine realizzata nel 2003 tra gli esperti e stakeholders della governance torinese. Cfr. L’Eau Vive, Comitato Rota, 2003, p.249).

Per quanto riguarda la sostenibilità, si può dire che troppo spesso non se ne tiene conto; se ne discute molto, ma in alcuni casi se ne tiene conto con eccessiva superficialità.

Sostenibilità ha molti significati: se noi parliamo di sostenibilità di un modello di sviluppo rivolto per esempio all’occupazione, è evidente che esistono delle azioni significative e rilevanti, ma è anche evidente che siamo in un momento di grossa difficoltà.

Secondo me la sostenibilità, intesa in senso economico e di sviluppo, sul medio-lungo periodo, è presa in considerazione.

Penso alla sostenibilità sociale, cioè portare lavoro a Torino, e lavoro qualificato in segmenti medio-alti.

Chi sottolinea come sia spesso scarsa l’attenzione per la sostenibilità ambientale nei vari progetti di trasformazione urbana, indirizza prevalentemente le critiche in direzione dell’ottica (efficientista) che, sovente, penalizza proprio la dimensione della sostenibilità: il problema, insomma, non è tanto se abbattere un po’ di alberi, quanto – più in generale – il fatto che numerosi interventi e progetti sembrano trascurare gli effetti sulla qualità complessiva dell'ambiente urbano e, di riflesso, sulla qualità della vita dei cittadini.

La scelta “immobiliarista” del PRG è stata in parte mitigata con le dichiarazioni ambientaliste e i riferimenti a numerose aree verdi e grandi parchi urbani (che avrebbero dovuto sorgere lungo la Spina al posto delle officine) e sottolineando come sarebbe stata costruita solo “qualche” casa. Poi, in realtà, la vicenda si è sviluppata nel peggiore dei modi…

Tutti questi milioni di metri quadri che si sono liberati non sono stati usati come spazi per ridare un equilibrio alla città, ma per fare case e palazzi, palazzi e case. Siamo ben al di là dall’avere una città sostenibile: basti vedere come sono stati rasi al suolo interi isolati, come è accaduto ad esempio in borgo S. Paolo, per costruire nuovi spaventosi casermoni.

A Torino anche per il verde urbano abbondano le soluzioni ingegneristiche: sono esemplari i casi di certe aiuole spartitraffico (spacciate per elementi di riqualificazione o “spazi di aggregazione”, come in piazza Statuto) o di progetti molto tecnologici, col verde cementificato (come in piazza d’Armi).

È vero che per i grandi insediamenti urbani si prevede un 60% destinato a parchi, ma per parco alla fine si intendono servizi e parcheggi sotterranei che di per sé si prestano ad un verde parecchio modesto.

Per quanto riguarda la qualità degli spazi urbani, occorreva un maggiore sforzo di coordinamento, mentre la parola d’ordine è stata (ed è) “facciamo le cose, non importa come”: in modo formalmente corretto, cercando di risparmiare, ma spesso solo in direzione delle esigenze di costruttori e agenzie immobiliari... Vanno bene efficacia ed efficienza, ma un po’ di lungimiranza in prospettiva richiederebbe una maggiore “vision” (anche a costo di perdere qualcosa sui tempi).

Un altro versante su cui si concentrano numerose critiche di scarsa sostenibilità ambientale (e sociale) è poi quello della mobilità (vedi anche il capitolo 5). In proposito, c’è chi sottolinea, ad esempio, come molti dei nuovi grandi poli in costruzione siano, praticamente, sconnessi rispetto alle principali linee della rete dei trasporti pubblici: il caso del Politecnico raddoppiato senza metrò è uno dei tanti esempi.
Alcuni progetti, poi, sono stati completamente snaturati in corso d’opera, proprio sul terreno della mobilità: ad esempio, l’aver optato alla fine per fare comunque un sottopasso “monco” in corso Spezia non crea solo un problema di viabilità: lo stesso palahockey di piazza d’Armi perderà gran parte delle connessioni col tessuto urbano e sarà alla fine del tutto snaturato.

Neanche la mobilità sostenibile (in particolare, pubblica e ciclabile) pare essere davvero diventata una priorità per i progettisti dei nuovi spazi urbani: se vi sono alcuni esempi positivi (come sulla nuova Spina centrale in corso Mediterraneo o in via Stradella), in altre aree molto trafficate le ciclabili continuano a mancare. Inoltre, le aree pedonalizzate di un certo rilievo rimangono solo in centro (e in Crocetta), continuando a penalizzare le zone periferiche:

Non esiste un disegno organico di pedonalizzazione e ci sono, qua e là, delle isolette slegate completamente dalle altre.


Per quanto riguarda poi il verde, molti ritengono emblematico il caso della Spina centrale, per anni citata sempre come nuovo “asse verde” della città, ma che oggi pare sempre più destinata – specie nel tratto prossimo alla nuova stazione di Porta Susa – a diventare un’autostrada urbana, con ben dieci corsie di marcia e una straordinaria concentrazione di poli terziari ad elevata attrattività.

Altro che “ricucitura” del tessuto urbano; ci vorranno venti occhi per attraversare la Spina, sia a piedi che con la macchina, e continuerà a rappresentare una divisione tra due parti della città: prima c’era il trincerone, poi ci sarà un’autostrada.

La zona del Politecnico raddoppiato, della biblioteca, del grattacielo della Regione, dell’Urban center… Quando sarà tutto finito ci sarà da spararsi; oltretutto è una zona che non verrà neanche servita dalla metropolitana… Già adesso il grande boulevard è tutto parcheggiato da quelli che ci abitano.

Sempre a proposito della Spina centrale, da parte degli uffici tecnici comunali – nonostante si ammetta che, finora, non è mai stata fatta alcuna prova di simulazione preliminare sugli effetti che i nuovi insediamenti potranno produrre sul sistema del traffico – emerge comunque un certo ottimismo:

Non credo che ci sia il rischio che la Spina diventi una sorta di autostrada urbana, ma solo una grande arteria di penetrazione in città che interseca la viabilità esistente e che quindi si configura come un asse di grandi dimensioni, ma anche capace di ricucire i tessuti urbani.


A testimonianza dello scarso rilievo che la dimensione della sostenibilità ha per le trasformazioni in atto a Torino, si può ancora citare la sostanziale estraneità del dibattito sulle grandi trasformazioni rispetto a quelli che, invece, si occupano per l’appunto di sviluppo sostenibile (Agenda 21 locale, Mobility management). Gli stessi materiali divulgativi sulle nuove trasformazioni non abbondano certo di riferimenti alla sostenibilità (che compaiono – di rado – solo nel caso delle nuove aree verdi).
L’unico caso in cui il tema della sostenibilità ambientale pare affrontato con una certa attenzione è quello dei nuovi insediamenti olimpici. Anche per effetto delle pressioni del CIO sono state, ad esempio, condotte puntuali valutazioni di impatto, nella cornice della Valutazione ambientale strategica (VAS); una specifica direzione del Toroc si occupa degli impatti ambientali delle nuove opere, ma anche della scelta di materiali, metodi costruttivi e processi energetici eco-compatibili. In proposito, si vedano: M.Filippi, Il tema della sostenibilità nel progetto, nella costruzione e nella gestione dei villaggi olimpici e dei villaggi media, “Atti e rassegna tecnica”, 2-3, novembre-dicembre 2002; F.Bernardi, G.Brunetta, A.Spaziante, La valutazione della sostenibilità ambientale di progetti, programmi e piani in ambito urbano, Dipartimento interateneo territorio, Torino 2002.
Nell’area metropolitana, a discapito del loro (recente) orientamento in direzione di uno “sviluppo sostenibile locale”, i Patti territoriali paiono invece ancora ben lontani da una reale attenzione per le questioni della sostenibilità, fedeli alla loro impronta originaria, orientata quasi esclusivamente a sviluppare il sistema produttivo locale (tra l’altro, nemmeno particolarmente innovativo) e le reti infrastrutturali (perlopiù per trasporti su gomma).
Anche per quanto riguarda il versante sociale della sostenibilità emergono da più parti numerose critiche: ad esempio, a proposito di una scarsa attenzione per la partecipazione dei cittadini. In una città sempre più congestionata dalla moltiplicazione dei cantieri, quella della partecipazione della cittadinanza (almeno ad alcune scelte progettuali) potrebbe rappresentare una sorta di ideale contrappeso delle sofferenze patite (traffico difficoltoso, inquinamento, rumore, congestione, degrado…).
I tecnici e gli amministratori, a più riprese in questi anni, hanno riconosciuto ed apprezzato la reazione composta e “non isterica” dei Torinesi di fronte a queste sempre più difficili condizioni di vita. Questo riconoscimento, tuttavia, non pare proprio aver prodotto una crescita significativa dei livelli di coinvolgimento della cittadinanza. Anzi, spesso si assiste ad operazioni (spacciate per “partecipative”), ma che assomigliano più a campagne di pubbliche relazioni e marketing, con una sempre più copiosa produzione di materiali promozionali, mostre, ecc., che però ben di rado rispondono davvero a sollecitazioni ed esigenze dei cittadini (prima tra tutte, ad esempio, quella di capire quando e come finiranno davvero i lavori in corso).
Da questo punto di vista, benché Torino sia spesso considerata all’estero come una realtà all’avanguardia proprio sotto il profilo della partecipazione, occorre verificare poi quanto – nella realtà – si producano per davvero forme di efficace coinvolgimento partecipativo:

Per capirlo, basta andare a verificare se un progetto è stato – anche in minima parte – modificato a seguito di qualche iniziativa dei cittadini. Nelle periferie torinesi, ad esempio, questo è avvenuto, talvolta cioè si è fatta partecipazione vera; nel caso delle spine o degli interventi olimpici, invece, assistiamo quasi solo a comunicazioni unilaterali e “spot” da parte delle istituzioni.


Secondo alcuni, le cause della scarsa considerazione per la dimensione partecipativa risiederebbero nella tendenza alla stessa deriva “tecnocratica” ed efficientista (cui s’è già accennato):

“Noi andiamo avanti comunque: se uno è d’accordo… è un atto dovuto; se è contrario… è solo un rompiscatole”. E’ la strategia della “guerra lampo” (alla francese): per evitare che i contrari facciano a tempo a coalizzarsi, mi sbrigo a realizzare l’opera, che poi metterà d’accordo tutti, di fronte al fatto compiuto. Il guaio, però, è che a Torino questa strategia non funziona mai: non siamo così rapidi come i francesi, e quindi finiamo ogni volta per impantanarci a litigare, tutti contro tutti.


E in questa lotta senza quartiere che si scatena ogni volta sui singoli interventi, spesso finiscono per avere voce in capitolo quasi solo le lobbies già organizzate (prima tra tutte quella dei commercianti), ad esempio ottenendo indennizzi monetari per i disagi patiti. Dopo varie iniziative ad hoc, a vantaggio dei commercianti di diverse parti della città interessate dai cantieri, nel novembre 2003 è stato varato a Torino un piano coordinato di sgravi fiscali (per le tasse rifiuti, suolo pubblico e impianti pubblicitari) per i circa 4.000 commercianti i cui esercizi sorgono sulle strade interessate dai “grandi cantieri”: olimpici, passante, metrò, linea 4.
Dal punto di vista partecipativo, tra l’altro, le cose non paiono andar meglio nemmeno per le istruzioni pubbliche decentrate: diversi presidenti di circoscrizione, ad esempio, lamentano un coinvolgimento quasi nullo nei progetti di trasformazione urbana.


Le decisioni sono calate dall’alto, mentre la strada da percorrere dovrebbe essere quella di far partecipare il più possibile la cittadinanza. E’ vero che non si può accontentare tutti e che si devono prendere decisioni più o meno impopolari, ma ci si deve almeno chiedere quali possono essere le esigenze del quartiere, acquisire i suggerimenti e far partecipi le realtà che dovranno vivere queste decisioni. Purtroppo questo è un ragionamento che non si fa mai, anzi lo si fa a ritroso, prima si fanno i progetti, poi ci si lamenta e si continua a discutere all’infinito (Presidente di circoscrizione).

Le decisioni vengono prese tutte a livello centrale comunale, anche quelle che poi interessano direttamente le nostre zone; noi non veniamo assolutamente coinvolti, ma informati dei fatti di riflesso, senza mai poter esprimere la nostra opinione in modo incisivo: ci troviamo delle vie chiuse dall’oggi al domani e non siamo ancora riusciti ad esprimere la nostra opinione (Presidente di circoscrizione).

Le circoscrizioni non hanno poteri, perciò rappresentano più il termometro della situazione che non lo strumento per realizzare un coordinamento. Manca ancora, in questo senso, un decentramento amministrativo; vi sono esperienze (soprattutto in Emilia Romagna e in Toscana) dove invece sono stati molto decentrati i poteri di governo alle circoscrizioni, in modo da avere da un lato lo strumento di ascolto e di individuazione dei problemi e dall’altro quello per le soluzioni. (Funzionario pubblico).

Tecnici e politici sono poco abituati a dialogare, come pure i cittadini (spesso rivendicativi), pensando all’altro come controparte, incapace o che ti vuole fregare; tutto ciò serve solo… a rimanere arroccati sulle proprie posizioni. (Funzionario pubblico).