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ARCHIVIO PARERI LEGALI

PARTECIPAZIONE A RTP DI "GIOVANE PROFESSIONISTA"
La legge Merloni è stata abrogata per inserire la relativa disciplina all’interno del codice degli appalti d.lgs. 163/06, non risulta che l’art. 90 del medesimo preveda la obbligatoria partecipazione di “giovani professionisti” all’interno di un RTP. Se tale previsione è contenuta nel bando di gara le caratteristiche che identificano il “giovane professionista” potranno essere ivi indicate. Se il riferimento è al “professionista” è auspicabile l’anzianità di iscrizione all’albo e non a quella di laurea, infatti l’abilitazione è requisito di iscrizione e dunque di esercizio libero professionale.

08/03/07


RECESSIONE DAL CONTRATTO DI PRESTAZIONE D'OPERA PROFESSIONALE
L'art. 2237 cc prevede che il professionista possa recedere dal contratto di prestazione d’opera professionale per giusta causa, avendo diritto al rimborso delle spese fatte e del compenso maturato; il recesso deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente. Il recesso deve essere comunicato in forma scritta con la specificazione delle ragioni che lo determinano.



PRIMO DECRETO BERSANI: TARIFFA PROFESSIONALE
Il Consiglio dell’Ordine ha assunto una posizione inequivoca rispetto alle disposizioni del primo decreto Bersani in materia di derogabilità dei minimi alla tariffa professionale. Fermo il rispetto della legge il Consiglio ha affermato che la tariffa non è stata affatto abrogata e che, di conseguenza, essa deve costituire un valido riferimento nella formulazione delle richieste a titolo di compenso professionale. Il Consiglio ritiene che la tariffa sia un utile parametro di valutazione del compenso nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 2233 cpv. cc (importanza dell’opera e decoro della professione), l’indicazione operativa che ne consegue è quella che laddove ci si dovesse scostare da quel parametro, occorrerà pur sempre salvaguardare i criteri codicistici (il compenso non dovrà mai essere inadeguato all’importanza dell’opera e poco dignitoso per l’esercizio professionale).



AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO: ISCRIZIONE IN APPOSITI ELENCHI?
Allo stato, non è necessaria alcuna iscrizione né ad albi (che non esistono), né ad associazioni professionali (la cui adesione è volontaria). Occorre, però, attivare tutte quelle provvidenze che sono indispensabili per l’esercizio di un’attività professionale (iva, previdenza, camera di commercio,…)
La lettura attuale dell’art. 117 Cost. non trasferisce alle Regioni la disciplina per l’esercizio di una professione che è rimasta quindi statale. Questa è la ragione per cui il ddl Regione Piemonte ed altro della Regione Liguria non hanno avuto, allo stato, alcun seguito. Ma è materia tutt’ora fluida ed è probabile che in proposito se ne saprà qualcosa in più nel momento in cui saranno approvati i decreti legislativi di attuazione della nuova disciplina delle competenze in applicazione del nuovo testo dell’art. 117 Cost.



PROPRIETÀ DEI DISEGNI E DOVERE DI CONSEGNA AL COMMITTENTE
Non v’è dubbio che la proprietà dei disegni (intesa come prodotto della prestazione professionale suscettibile di valutazione economica) spetti al committente che deve riceverne un numero di copie adeguato alla bisogna. Diversa è la proprietà intellettuale dell’elaborato che, come opera dell’ingegno, appartiene a chi l’ha realizzata. E’ evidente che, in questa logica, al committente occorre consegnare il materiale di lavoro già svolto come di altrettanta evidenza è il fatto che tale lavoro deve essere pagato dal committente. Spetta all’iscritto di salvaguardare i propri diritti sull’opera dell’ingegno, evitando, cioè, che il proprio elaborato venga “snaturalizzato” dal cliente in modo tale da alterarne le caratteristiche proprie di originalità ed unicità.



SOSTITUZIONE DEL DIRETTORE DEI LAVORI ALL’INTERNO DELLA ATP IN CORSO DEI LAVORI PER INADEMPIENZE DEL DL ORIGINARIO
Non sembrano esservi problemi a sostituire il direttore dei lavori con altro soggetto, facente parte del medesimo raggruppamento temporaneo, purchè, ovviamente, questi abbia i requisiti per poter assumere la carica. Si crede anche che il responsabile del procedimento possa richiedere la sostituzione del direttore dei lavori, anche con atto formale, e specie ove vi siano fondate ragioni di inadempienze a base della richiesta.



LAVORO PROFESSIONALE PER GLI ARCHITETTI DIPENDENTI PUBBLICI PART-TIME
La materia è quantomai caotica e, come spesso accade, regolata da disposizioni tra loro sovrapposte.
In sintesi:
  • - l’intera materia è oggi regolata dal d.lgs. 61/00, come integrato dalle modifiche apportate dal d.lgs. 276/03

  • - la disciplina di cui al d.lgs. 61/00 si applica anche “ove non diversamente disposto” ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, salvo alcune eccezioni, fermo restando “quanto previsto da disposizioni speciali in materia ed in particolare dall’art. 1 L. 662/96, 39 L. 449/97, 22 L. 448/98 e 20 L. 488/99”

  • - peraltro, l’art. 4 del vigente ccnl delle autonomie locali detta, ai co. da 7 a 10 compresi, una disciplina compiuta dell’istituto nel senso che:
    (a) ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, “qualora la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno”, è consentito lo svolgimento di “un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, anche mediante l’iscrizione ad albi professionali” purchè ciò avvenga “nel rispetto delle vigenti norme sulle incompatibilità”
    (b) spetta agli enti, “ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi”, di “individuare le attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, non sono comunque consentite ai dipendenti” di cui alla precedente lett. (a)
    (c) nel caso di verificata sussistenza di un conflitto di interessi tra l’attività esterna del dipendente e la specifica attività di servizio, “l’ente nega la trasformazione del rapporto a tempo parziale”, dal momento che nella domanda volta ad ottenere la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, il dipendente deve indicare “l’eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che…intende svolgere ai fini di cui ai co. 7 e ss.”
    (d) Il dipendente è comunque tenuto a comunicare, entro 15 giorni, all’ente presso il quale presta servizio l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorative esterna”.

  • - In sostanza, non è richiesta un’autorizzazione dell’ente allo svolgimento della seconda attività, ma – ferme le situazioni di incompatibilità (che di per sé inibiscono tale svolgimento) - l’unica possibilità per l’ente di inibire lo svolgimento di tale attività esterna sta nel fatto che essa si ponga in contrasto con le attività comunque non consentite ovvero che essa non sia stata dichiarata all’atto della richiesta di trasformazione del rapporto o, più avanti, in caso di inizio successivo dell’attività o di sua variazione rispetto a quella dichiarata inizialmente.

  • - Sono situazioni di incompatibilità ex art. 53 d.lgs. 165/01 (che vale per tutti i dipendenti di pubbliche amministrazioni) per i rapporti di lavoro a tempo parziale quelle di cui all’art. 6 co. 2 dpcm 17/3/89 n. 117 e di cui agli art. 1 co 57 e segg. L. 662/96. Nello specifico:
    (a) esercizio di prestazioni di lavoro che arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e siano incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione (si tratta di situazioni che vanno motivate dall’Amministrazione)
    (b) conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero il caso in cui la trasformazione del rapporto comporti, in relazione alle mansioni ed alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione stessa (sono cause di differimento della trasformazione del rapporto).
Dunque, seppure con diverse accezioni, il limite è sempre individuato, da un lato, con riferimento al conflitto di interessi e, dall’altro, con il pregiudizio alla funzionalità dell’attività dell’amministrazione.
Le modalità con le quali attivare la trasformazione del rapporto sono, poi, dettagliatamente indicate tanto all’art. 1 co. 57 e segg. L. 662/96 che all’art. 4 ccnl autonomie locali.



DIA – INIBITORIA ALL’ESECUZIONE DEI LAVORI E/O RICHIESTE DI INTEGRAZIONE DEL COMUNE DOPO IL TERMINE DI LEGGE
Una volta spirato inutilmente il termine per svolgere osservazioni o richiedere l’integrazione ritenuta necessaria si forma sulla denuncia l’assenso conseguente al silenzio. E il silenzio-assenso altro non significa se non che l’attività denunciata è assentita.
Ne consegue che, in via di stretto diritto, l’inibitoria alla esecuzione dei lavori è illegittima se intervenuta fuori termine e l’eventuale richiesta di integrazione può non essere ottemperata se pervenuta fuori del termine previsto dalla legge. In questi termini, è possibile per il professionista rispondere al Comune.
Va da sé che, ponendosi in tal modo, in posizione di contrasto con il Comune è possibile che questi reagisca quantomeno disponendo per un sopralluogo al fine di verificare le opere in corso di realizzazione: il che, di per sé, può semplicemente essere una seccatura.



NOME DI FANTASIA PER UNO STUDIO TECNICO NON ASSOCIATO
Non v’è alcun dubbio che uno studio professionale, ancorché costituito da una pluralità di soggetti che – secondo quanto prospettato – mantengono la loro assoluta autonomia professionale e concorrono semplicemente nella condivisione delle spese – possa essere contraddistinto con un nome di fantasia che consenta una sua più facile individuazione. In proposito, andrebbe tenuta in debita considerazione l’opportunità di far seguire al nome di fantasia anche l’elenco completo dei contitolari dello studio (del tipo studio Pinco di Tizio e Caio) nonché osservare che il “nome” dello studio diventa, ad ogni effetto, patrimonio dello studio con le ipotizzabili complicazioni nel caso in cui gli attuali partecipanti decidano, in futuro, di proseguire nell’attività singolarmente o presso altri studi.
Altrettanto non è vietato esporre una targa (o simile) che consenta di individuare lo studio, anche caratterizzata da “segni” di suo riconoscimento quali immagini, foto e disegni. L’affissione di una targa di riconoscimento o di individuazione della struttura è certamente soggetta ad una tassa locale e, ci pare, all’autorizzazione dell’amministratore dello stabile (tranne che si trovi all’interno dell’immobile, nel qual caso occorre solo l’autorizzazione dell’amministratore). In proposito, però, deve rivolgersi ai competenti Uffici comunali.



È DOVUTO IL COMPENSO PER “GLI INTERVENTI DISPOSTI DAL DL PER RISOLVERE ASPETTI DI DETTAGLIO” EX ART. 25, COMMA 3 DELLA L. 109/94?
Si fa riferimento a quelle previsioni di cui all’art. 25 co. 3 L. 109/94 che non involgono la responsabilità del progettista ai sensi del precedente co. 2.
Si tratta di interventi che sono stati determinati da fatti sopravvenuti nei quali è richiesto l’intervento della DL “per risolvere aspetti di dettaglio” ed il cui importo sia mantenuto nei limiti quantitativi ivi espressi. Se detti interventi comportano l’esigenza di progettare la modifica, a rigore la prestazione resa a tal fine dovrebbe essere compensata, tranne che – contrattualmente – non sia stato previsto un compenso per la progettazione o la DL onnicomprensivo, nel quale cioè si debbano ricondurre anche gli eventuali interventi di risoluzione degli aspetti di dettaglio di cui al citato co. 3.
Poiché si ritiene che, in assenza di ciò, tali interventi debbano essere compensati, la relativa esecuzione dovrebbe competere, in linea di principio, al progettista dell’opera tranne che nel “disposti” di cui al co. 3 sia ricompreso il potere della DL di disporre, con ordine di servizio, l’esecuzione delle opere modificate secondo l’elaborato progettuale che la stessa redige.
Nella norma non è prevista la definizione degli “aspetti di dettaglio”. Leggendo il testo integrale della medesima si possono individuare elementi interpretativi che aiutino la comprensione della medesima.
In pratica:
- fermi i limiti quantitativi indicati dalla norma (che, in ogni caso, costituiscono un limite comunque invalicabile), anche gli interventi elencati al co. 1 potrebbero costituire “aspetti di dettaglio” (dal momento che “non sono considerati varianti” se non superano i suddetti limiti quantitativi);
- non così, invece, le previsioni di cui al secondo alinea del co. 3 che, letteralmente, sono indicate quali “varianti” seppure ammesse nel rispetto dei limiti quantitativi e di spesa ivi previsti;
- rientra, poi, nella competenza professionale della DL individuare altre ipotesi (riconducibili, qualitativamente e quantitativamente) alla definizione di “aspetti di dettaglio”, tali soprattutto da non integrare la previsione di cui al citato secondo alinea del co. 3 (miglioramento dell’opera, della sua funzionalità, non comportanti modifiche sostanziali e derivanti da circostanze sopravvenute ed imprevedibili al momento della stipula del contratto di appalto).



UN ARCHITETTO DIPENDENTE PRIVATO HA DIRITTO AD UN COMPENSO SUPPLETTIVO PER L’ATTIVITA’ DI PROGETTAZIONE SVOLTA A FAVORE DELL’AZIENDA?
Se le prestazioni rese dall’architetto rientrano nella normale attività da espletarsi quale dipendente dell’azienda datoriale, non credo che egli abbia titolo a rivendicare alcun compenso aggiuntivo oltre alla ordinaria retribuzione. Peraltro, si segnala che ex art. 2578 cc compete all’autore di progetti di ingegneria o di altri lavori analoghi che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici “il diritto di ottenere un equo compenso da coloro che eseguono il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso”: la norma non indica che tale eventualità sia limitata ai casi di inesistenza di rapporto di lavoro dipendente e, dunque, sussistendo i rigorosi presupposti ivi indicati, in quei casi credo sia possibile ottenere “un equo compenso” ovviamente aggiuntivo rispetto alla retribuzione.



IL CERTIFICATO DI IDONEITA’ STATICA NON SOSTITUISCE IL COLLAUDO STATICO
L’art. 35 co. 3 L. 47/85, concernente la sanatoria di opere abusive, prevede che alla domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria debba essere allegata, tra l’altro, …”b) una apposita dichiarazione, corredata da documentazione fotografica, dalla quale risulti lo stato dei lavori relativi…”.
Il successivo co. 4 demanda, “al fine della certificazione di cui alla lett. b)”, ad un DM la determinazione de“gli accertamenti da eseguire, anche in deroga alle L. 1086/71, 64/74, 219/81 e relative normative tecniche”. L’art. 1 del DM 20/9/85 sostituisce l’art. 1 del DM 15/5/85 con la seguente locuzione: “il certificato di idoneità statica deve essere allegato alla domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria quando le opere abusivamente eseguite abbiano un volume complessivo superiore a 450 metri cubi”. Come è agevole arguire sia dal testo della legge che dall’art. 1 DM 20/9/85, la certificazione di idoneità statica vale esclusivamente quale documento da allegare alle richieste di sanatoria per opere abusive e, dunque, non può essere utilizzata per le opere ancora da eseguirsi (e, dunque, per definizione, non abusive). Ne consegue che il documento in questione non può sostituire il collaudo statico.



IL COORDINATORE PER LA SICUREZZA HA IL POTERE DI INIBIRE L’ACCESSO AD ALCUNE AREE DI UN CIMITERO ANCHE AVVERSO IL PARERE DEL SINDACO?
Il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori deve dettare tutte le norme che, a suo parere, consentano lo svolgimento dei lavori nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza degli occupati nel cantiere e dei terzi eventualmente presenti o circolanti nei pressi del medesimo: è, perciò, del tutto possibile che egli ritenga che, ai fini della sicurezza, debba essere interdetto l’accesso a chiunque, tranne che i diretti interessati, all’area di cantiere per tutto il tempo che egli riterrà adeguato, ai fini per i quali il Piano di Sicurezza è approntato.
La inibizione all’accesso ad un cimitero o a parte di esso può essere conseguenza delle previsione del Coordinatore alla quale né il Sindaco, né l’Ufficio tecnico del Comune possono opporre argomenti di segno contrario che siano fondati esclusivamente sul fatto che egli ritiene che il cimitero non possa essere chiuso per ragioni che, allo stato, non vanno oltre il rispetto delle giuste esigenze di chi vuole onorare i propri morti.
In sostanza, il Coordinatore deve, ci pare, predisporre il Piano di Sicurezza secondo quanto egli ritiene doveroso ai fini per i quali il Piano deve essere predisposto. Se altri hanno opinioni diverse, assumano disposizioni scritte (nella specie, ordinanze) con le quali si assumano la responsabilità di derogare alle previsioni del Piano eventualmente richiedendo all’estensore di quest’ultimo di adottare le opere provvisionali che rendano possibile (se lo è) la diversa modalità di fruizione degli spazi cimiteriali quali prospettate dagli organi comunali. Il Coordinatore dovrà precisare a propria volta se le opere che così si rendessero necessarie siano (i) fattibili e, in caso positivo, (ii) con quali ulteriori oneri complessivi (compreso, evidentemente, il tempo necessario per la loro predisposizione che si riverbera inevitabilmente sui tempi di esecuzione delle opere appaltate). Se quest’ultima soluzione, compresi gli oneri aggiuntivi, è fatta propria dal Comune, il Coordinatore detta le disposizioni ai fini della sicurezza. Se così non è, non rimane al Coordinatore di confermare la propria originaria disposizione.



L’ARCHITETTO È COMPETENTE IN MATERIA DI “PONTI DI TERZA CATEGORIA”?
Gli unici riferimenti in materia di validazione attengono ai DD.MM. 15/5/85 e 20/9/85 ed a questi, si ritiene, si possa utilmente fare riferimento quantomeno ai fini di individuare quali siano gli elementi da prendere in considerazione ai fini richiesti.
Il validatore non ha titolo a comparire accanto ai progettisti poiché egli non svolge alcuna attività di carattere progettuale.
Sulle competenze in materia di “ponti di terza categoria”, è possibile che gli ingegneri abbiano di che dire ove il progetto della struttura (in CIA) sia sottoscritto da un architetto. Il nostro Ordine assume, però, che opere di tal genere rientrino (anche) nella competenza degli architetti e, dunque, fatti salvi i requisiti soggettivi di cui alla L. 1086/71, si ritiene che l’architetto possa sottoscrivere il progetto in questione. Ove si intenda evitare anche il solo rischio di querelle, la soluzione potrebbe rinvenirsi nella sottoscrizione congiunta del progetto strutturale ad opera tanto di architetto che di ingegnere.



È POSSIBILE TRASFERIRE IN TUTTO O IN PARTE L’SLP NON UTILIZZABILE DA UN LOTTO AD UN ALTRO CON UGUALE DESTINAZIONE DI PRG?
La soluzione del problema dovrebbe trovarsi nelle NtA del PRGC di riferimento. In caso di trasferimento di cubatura da lotto non utilizzato ad altro, avente le stesse caratteristiche urbanistiche, comporta, in ogni caso, la stipula di atto di vincolo alla inedificabilità del lotto la cui cubatura viene trasferita.



LA COMPONENTE IMPIANTISTICA/STRUTTURALE E’ PARTE INTEGRANTE DELL’IMPORTO LAVORI SULLA BASE DEL QUALE OCCORRE CALCOLARE L’ONORARIO.
L’art. 15 del Testo Unico della Tariffa degli Onorari per le prestazioni professionali dell’architetto, come è noto, dispone che “quando per l'esecuzione di una delle opere indicate nel precedente prospetto il professionista presta la sua assistenza all'intero svolgimento dell'opera - dalla compilazione del progetto alla direzione dei lavori, al collaudo ed alla liquidazione - le sue competenze sono calcolate in base alla percentuale del consuntivo lordo dell'opera indicata alla tabella A. A questi effetti, per consuntivo lordo dell'opera si intende “la somma di tutti gli importi liquidati alle varie imprese o ditte per lavori o forniture si intende la somma di tutti gli importi liquidati alle varie imprese o ditte per lavori o forniture computati al lordo degli eventuali ribassi, aumentata degli eventuali importi suppletivi accordati alle stesse in sede di conto finale o di collaudo e senza tener conto, invece, delle eventuali detrazioni che il direttore dei lavori od il collaudatore potesse aver fatto per qualsiasi ragione, sia durante il corso dei lavori, sia in sede di conto finale o di collaudo”.
Ora, a fronte di un siffatto dettato normativo, la committenza non ha motivo di chiedere di stralciare la componente impiantistica/strutturale dall’importo dei lavori su cui calcolare l’onorario da corrispondere al professionista.
Il legislatore, infatti, ha compiutamente definito la nozione di “consuntivo lordo dell’opera” precisando che con essa “si intende la somma di tutti gli importi liquidati alle varie imprese o ditte per lavori o forniture” sicché pare evidente che anche la componente impiantisca/strutturale debba essere ricondotta nella nozione di “lavori” così come specificato dal citato art. 15.
Peraltro, siffatta interpretazione letterale, pare essere confermata dalla stessa giurisprudenza pronunciatasi sul punto la quale ha ribadito che il parametro costituito dal “consuntivo lordo dell’opera” è composto dalla somma di tutti gli importi liquidati alle varie imprese o ditte (cfr. Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2000, n. 3904; Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1994, n. 9165; Cass. civile, sez. II, 4 maggio 1993, n. 5158).



ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE O SOCIETÀ DI PERSONE CON SOGGETTO NON ISCRITTO ALL’ALBO?
Come è noto, ai sensi dell’ art. 1 della L. 23 novembre 1939, “le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all'esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l'esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di "studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario", seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati”.
Quando quella esercitata dal soggetto in questione non risulta essere riconducibile al novero delle c.d. “professioni protette” non pare possibile che un architetto ed un mero laureato possano costituire un’associazione professionale ex L. 23 novembre 1939 per il suo svolgimento..
Questione totalmente diversa, invece, risulta essere la possibilità di realizzare una forma associativa di diversa natura quale, ad esempio, quella riconducibile alla società di persone.



COMPATIBILITÀ TRA CARICA DI MEMBRO DI UNA COMMISSIONE EDILIZIA COMUNALE E RUOLO DI DIPENDENTE DI UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
In primo luogo pare opportuno osservare come il Consiglio di Stato, circa la composizione della Commissione edilizia comunale, abbia recentemente precisato come “con riferimento alla problematica riguardante la composizione della commissione edilizia (…), ai sensi dell’art. 4 comma 1 del testo unico sull’edilizia approvato con il D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, e in assenza di precetti in senso contrario nel testo unico sull’ordinamento degli Enti locali di cui al D. Lvo 18 agosto 2000 n. 267, spetta al regolamento edilizio del Comune di disciplinare la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della commissione in questione” (Cfr. Cons. Stato, Parere della Commissione speciale, 21 maggio 2003).
Il secondo comma dell’art. 53 del D. Lgs. 165/2001 rubricato “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”, peraltro, dispone che “le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”.
Sicché, per poter escludere o ammettere la compatibilità di cui in oggetto, pare necessario visionare il regolamento comunale ogni volta interessato al fine di accertare se lo stesso consenta all’Amministrazione comunale di nominare componente della Commissione edilizia un dipendente di un’altra Amministrazione pubblica.
Da ultimo, peraltro, è onere precisare che anche nell’eventualità in cui siffatto regolamento non contenga elementi ostativi al conferimento dell’incarico – in ottemperanza a quanto richiesto dall’art. 53 sopra menzionato – occorrerà che il dipendente richieda espressa autorizzazione all’Amministrazione di appartenenza.



ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI TRA PROFESSIONISTI DIFFERENTI.
Dalla disamina della recente giurisprudenza in materia di società tra professionisti di cui alla l. n. 1815/1939 non si rinvengono precedenti ostativi alla costituzione di un’Associazione Professionale i cui partecipanti risultino debitamente e regolarmente iscritti ai relativi propri Albi professionali, seppur differenti. E ciò pur presupponendo la norma l’esercizio congiunto dell’attività professionale.
Nulla quaestio, peraltro, che oramai, soprattutto con riferimento a discipline tecniche, tale esercizio congiunto presupponga costantemente una sinergia raggiungibile, per il solito, mediante l’accorpamento di professionalità differenti, proprie di diversi ordinamenti professioni.



PARTECIPAZIONE CONTEMPORANEA A PIÙ ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI.
Le associazioni professionali, disciplinate dalla legge n. 1815 del 23 novembre 1939, costituiscono degli accordi conclusi per l’esercizio congiunto delle professioni protette.
La giurisprudenza, peraltro, ha da tempo chiarito che per la validità di siffatti accordi è necessario che sia rispettato il principio della personalità della prestazione professionale, nel senso che l’associante deve comunque rimanere l’unico titolare dell’attività affidatagli e l’esclusivo responsabile nei confronti del cliente (cfr. Cass. civ, sez. I, 12 marzo 1987, n. 2555).
Qualora venga espressamente convenuto (meglio direttamente in atto costitutivo) nulla pare ostare a che un singolo professionista partecipi, contemporaneamente, a più di un’associazione professionale.
Eventuali limitazioni dell’attività dovranno poi essere specificatamente previste e dettagliate in sede di redazione dei patti associativi (per il che sarebbe opportuno una successiva verifica degli stessi, onde accertare che tali limitazioni non siano contrarie a norme di legge).
Nulla osta, del pari, a che il singolo professionista associato mantenga una propria autonomia professionale, estranea cioè all’associazione, rimanendo nella disponibilità di assumere, in proprio e direttamente, incarichi che non ricadono nell’associazione: anche in tal caso, però, sarebbe opportuno prevedere e disciplinare tale possibilità in sede di atto costitutivo.
In ordine alle modalità costitutive dell’associazione professionale si ritiene comunemente che occorra l’atto notarile; copia di tale atto costitutivo dovrà essere trasmesso in copia all’Ordine di appartenenza.
In relazione alla possibilità di costituire un’associazione con un oggetto limitato all’espletamento di un singolo ed unico incarico, non si può non precisare che tale eventualità pare in contrasto, con lo spirito della legge che disciplina la fattispecie dell’associazione professionale.
Meglio sarebbe, in tale ipotesi, rivolgersi ad altre forme di collaborazione, quali, ad esempio, l’incarico professionale congiunto, con un accordo “a latere” di regolamentazione degli oneri relativi all’esperimento dell’incarico.



STIPULA DI UN CONTRATTO DI PRESTAZIONE D’OPERA, TRA DUE PROFESSIONISTI ARCHITETTI SINGOLI O ASSOCIATI, PER AFFIDARE L’ESECUZIONE DI UNA PRESTAZIONE RELATIVA A INCARICO RICEVUTO DA UN ENTE PUBBLICO, PREVENTIVAMENTE AFFIDATO AD UNA SOLA DELLE DUE PARTI DEL CONTRATTO.
In primo luogo rileva la natura personale della prestazione che il professionista deve assicurare in seguito alla stipulazione di un contratto di prestazione d’opera di cui all’art. 2232 cc., il quale testualmente prevede che “il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto”. Pare sia da escludere, dunque, la possibilità per un professionista di affidare l’espletamento di un incarico ricevuto da un Ente pubblico ad un altro professionista mediante la stipulazione di un contratto di prestazione d’opera.
Ne’ possono essere dimenticati i principi generali in materia di subappalto e di divieto di cessione del contratto nei rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni.



APPLICAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 231/2002 (IN MATERIA DI RITARDI DI PAGAMENTO NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI) AI SOGGETTI ESERCENTI UNA LIBERA PROFESSIONE.
Procedendo per soluzioni successive, si deve in primo luogo affermare che l’art. 2 del D. Lgs n. 231/2002 rubricato “Definizioni”, prevede espressamente che “ai fini del presente decreto si intende per: transazioni commerciali, i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo” nonché che, per “imprenditore, ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”.
Di tal che, pare che l’applicazione del suddetto decreto legislativo ai rapporti coinvolgenti gli architetti sia di tutta evidenza.
In punto di decorrenza degli interessi moratori, peraltro, gli stessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, se previsti.
Per quanto riguarda i profili di risarcimento dei danni l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, prevede che “il creditore ha diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrispostegli, salva la prova del maggior danno, ove il debitore non dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile”.
Al fine di ottenere il ristoro di eventuali danni, dunque, occorrerà non solo provarli, ma anche la circostanza che il ritardo sia imputabile al committente.



MODALITÀ DI COSTITUZIONE DELLE ASSOCIAZIONE TEMPORANEE DI PROFESSIONISTI MENZIONATE DALLA L. 109/1994.
Sul punto pare opportuno rilevare come l’art. 10 della medesima legge rubricato “soggetti ammessi alle gare”, si sia limitato a prevedere che i singoli professionisti che intendano riunirsi in A.T.P. – prima della presentazione dell’offerta – conferiscano mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi. Atteso che circa le modalità formali di conferimento del suddetto mandato nulla è stato precisato in tale sede, dunque, pare evidente che occorra analizzare quanto precisato dalla giurisprudenza sul punto.
Il giudice amministrativo, sin dal 1991 (in allora chiamato a pronunciarsi in punto di associazione temporanea di imprese) circa il conferimento di un mandato collettivo speciale con rappresentanza, ha statuito che “La scrittura privata recante il conferimento del mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese riunite ai fini della partecipazione alle gare di appalto, ai sensi degli art. 20 ss. l. 8 agosto 1977 n. 584, ha natura non di istanza bensì contrattuale e perciò, in tema di autenticazione delle sottoscrizioni, rientra nella competenza del notaio, ai sensi dell'art. 2703 c.c. e non in quella del segretario comunale, od altro funzionario incaricato dal sindaco in virtù dell'art. 20 legge cit. il quale riguarda le sottoscrizioni non di qualsiasi atto formato da privati ma soltanto delle istanze da produrre agli organi della p.a.”
Ora, atteso che anche la costituzione di un’associazione temporanea di professionisti, al pari di quella tra imprese, ha natura contrattuale e non di istanza, parrebbe logico ritenere che anche nel caso di specie la scrittura privata non possa essere autenticata dal funzionario incaricato dal Sindaco.



L’ARCHITETTO INCARICATO DELLA PRESENTAZIONE DI UNA DIA È TENUTO A VERIFICARE CHE L’IMPRESA CHE SVOLGERÀ I LAVORI SIA COPERTA DA POLIZZA ASSICURATIVA?
Dopo una attenta disamina della normativa di riferimento, pare potersi ritenere che tra le incombenze gravanti sul professionista incaricato della presentazione della D.I.A. di cui all’art 22 e ss. del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) non risulti rinvenibile l’obbligo di verificare in capo alla ditta esecutrice dei lavori l’esistenza di una copertura assicurativa per la responsabilità civile per danni cagionati nel corso della realizzazione dei lavori medesimi.
Circa l’assenza dell’obbligo normativo della copertura assicurativa, peraltro, si consideri come la questione sia da ritenersi assolutamente pacifica.



COMPETENZA DEGLI ARCHITETTI CIRCA LA REDAZIONE DEI PIANI DI PROTEZIONE CIVILE.
Sul punto, in via assolutamente preliminare, occorre precisare come tali strumenti di pianificazione rinvengano la propria disciplina all’interno di diversi provvedimenti normativi di livello statale e regionale.
L’art. 10 della legge regionale Piemonte 14 aprile 2003 n. 7, rubricato “Strumenti di programmazione e di pianificazione dei modelli di intervento” dispone che “le attività di previsione, di primo intervento e soccorso, di prima ricostruzione e recupero devono essere espletate attraverso la distinta redazione e attuazione dei piani di emergenza di protezione civile e dei piani di prima ricostruzione in relazione agli ambiti di cui all’art. 3”, facendo tuttavia espresso rinvio ad un successivo regolamento della Giunta circa i contenuti, le modalità di adozione , di approvazione ed attuazione di siffatto strumento pianificatorio.
Il Regolamento regionale di programmazione e pianificazione delle attività di protezione civile suddetto, peraltro, pur enucleando compiutamente il contenuto e l’iter di approvazione del Piano in questione, nulla ha disposto circa il professionista (o i professionisti) competenti a redigerlo.
Tanto doverosamente precisato, pare comunque possibile osservare quanto segue.
Il Piano comunale per la protezione civile, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del Regolamento è composto da molteplici atti ed elaborati tecnici.
Segnatamente, si osservi, il suddetto Piano è composto da una “parte propedeutica” e da una “parte operativa”.
Orbene, tra gli elaborati da includere nella “parte propedeutica”, sono rinvenibili alcuni atti e documenti che sembrerebbero in astratto rientrare perfettamente nella competenza di un soggetto iscritto all’Ordine professionale degli architetti.
A titolo meramente esemplificativo, si citano sul punto le cartografie tecniche di cui al n. 2 e 3 della lettera a), comma 4, dell’art.4 sopra menzionato per la redazione delle quali l’architetto pare essere un professionista sostanzialmente idoneo
Sicché, sembra potersi verosimilmente concludere che – fatte salve le competenze specifiche ed esclusive degli altri professionisti quali gli ingegneri, i geologi, ecc. – il quesito cortesemente posto possa essere risolto in senso affermativo, se non altro con riferimento allo svolgimento di parziali e peculiari attività e competenze ricomprese nel Piano de quo.



POSSIBILITÀ DI CHIAMARE IL DIRETTORE DEI LAVORI A RENDERE TESTIMONIANZA IN UN PROCEDIMENTO CIVILE TRA LA DITTA ESECUTRICE DEI LAVORI E LA PROPRIETÀ-COMMITTENZA.
Sul punto, in primo luogo, pare opportuno precisare che costituisce obbligo giuridicamente sanzionato rendere testimonianza allorquando si venga all’uopo convocati innanzi al giudice.
Autorevole dottrina sul punto ha precisato che “il dovere del testimone di deporre risulta, oltre che, indirettamente, dalle sanzioni penali previste per il rifiuto di deporre o per la deposizione falsa, reticente o manchevole (art. 366, 3° comma e art. 372 c.p.), e dall’art. 256 c.p.c., che configura il potere del giudice istruttore di denunciare il testimone per questi reati; anche, e più direttamente, dall’art. 255 c.p.c. che prevede, per l’eventualità della mancata presentazione del testimone regolarmente intimato, non soltanto una nuova intimazione per una nuova udienza, ma addirittura il potere del giudice istruttore di ordinarne l’accompagnamento coattivo, e di condannarlo ad una pena pecuniaria. Ciò, salvi i casi eccezionali di impossibilità o di altre ragioni per le quali il giudice può recarsi nell’abitazione o nell’ufficio del testimone (art. 255, 2° comma). Il nostro ordinamento, peraltro, prevede che alcune figure professionali, in determinate circostanze, possano astenersi dal deporre (cfr. art. 200 e ss. c.p.p. e art. 249 c.p.c.) ovvero alcuni casi in cui il testimone non può deporre (cfr. art. 246 c.p.c. rubricato “incapacità a testimoniare” il quale statuisce che: “non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”).
Il caso in oggetto non sembra riguardare il c..d. segreto professionale di cui allo stesso art. 200 c.p.p., pare potersi concludere – fatta ovviamente salva la limitazione di cui all’art. 246 c.p.c. testé richiamato – che il Direttore dei Lavori possa essere chiamato a rendere testimonianza in una causa tra la ditta esecutrice dei lavori e la proprietà-committenza e che questi non possa rifiutarsi.



L’ARCHITETTO CHE VUOLE FARSI LIQUIDARE LA PARCELLA PER È TENUTO, IN VIA PRELIMINARE, ALLA CONSEGNA DEL LAVORO SVOLTO O PUÒ RITENERLO FINO AL SALDO?

L’art. 2222 del codice civile definisce il contratto d’opera come quel contratto con cui la “persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio(…)”.
La dottrina, peraltro, ha recentemente rammentato come dall’art. 2225 del codice civile, dedicato al corrispettivo, si evinca agevolmente come il contratto d’opera rappresenti un contratto sinallagmatico, “caratterizzato, appunto, dalle prestazioni reciproche del compimento dell’opus da parte dell’artefice, e dal pagamento del compenso, incombente sul committente”. Ciò posto, attesa la sinallagmaticità del rapporto instaurato tra committente e prestatore d’opera (nel caso di specie, intellettuale) pare logico ritenere che il diritto al pagamento della prestazione professionale sorgerà solo con l’erogazione della stessa, erogazione che nel caso di specie si realizzerà attraverso la consegna dei progetti.
Sino ad allora, infatti, non paiono realizzarsi i presupposti per il perfezionarsi dell’obbligazione a carico del committente di corrispondere quanto pattuito.
Dunque, una volta consegnati i progetti, il professionista potrà legittimamente richiedere il pagamento della parcella, essendosi ormai concretizzato il sinallagma contrattuale.
Questione totalmente diversa, peraltro, è l’eventualità in cui in sede contrattuale sia stata convenuta la corresponsione di anticipi ovvero di forme di pagamento differentemente modulata.
Da ultimo, circa il diritto di ritenzione – peraltro espressamente vietato nel caso di specie dall’art. 2235 del codice civile – corre l’onere di segnalare come lo stesso abbia ad oggetto “le cose ed i documenti ricevuti” dal prestatore nel corso dell’espletamento del proprio incarico sicché, va da sé, la mancata consegna dei progetti oggetto dell’incarico professionale non pare riconducibile all’istituto della “ritenzione”.



ARCHITETTO E PARTECIPAZIONE A SOCIETA’
Domanda: sono un architetto iscritto all’Albo. Posso essere socio di una società?

Le norme che regolano la professione di architetto (legge 1395/23, R.D. 2537/25, D.L. 382/44) non pongono divieti agli architetti nello svolgimento di altre attività, per cui possono far parte a qualsiasi titolo di società (e quindi anche come socio accomandatario in s.a.s.), possono essere iscritti anche alla C.C.I.A.A. e possono svolgere altre attività imprenditoriali o commerciali, sempre che possiedano i titoli che fossero eventualmente richiesti per svolgerle, e sempre che per lo svolgimento di esse non sia vietata l’iscrizione ad altri Albi.
Tuttavia le Norme di Deontologia professionale vigenti impongono la massima cura affinché l’attività professionale sia tenuta rigorosamente distinta dalle altre attività specie se a carattere imprenditoriale. In particolare l’art. 21 di dette norme impone all’arch. che sia a qualsiasi titolo compartecipe di imprese appaltatrici o di ditte fornitrici delle opere da lui progettate e/o di cui sia direttore dei lavori, di mettere al corrente il proprio committente e di ottenerne l’assenso – preferibilmente per iscritto – e qualora proponesse l’impiego in opere da lui progettate e/o dirette di componenti prodotti da ditte in cui sia socio, di informare formalmente il committente.



AMMINISTRAZIONE DI CONDOMINI E COMPRAVENDITA IMMOBILIARE
Domanda: con riferimento all'amministrazione di condomini e alla compravendita immobiliare:
- i laureati in architettura (ed abilitati) devono sostenere qualche esame per svolgere queste attività?
- esistono degli albi di iscrizione per chi svolge queste attività?
- vi è incompatibilità per gli iscritti all'ordine professionale di architetto?

I laureati in architettura e abilitati alla professione non risulta debbano sostenere esami per svolgere tali attività; per quanto riguarda l’attività di intermediatore immobiliare bisogna iscriversi all’elenco di cui alla L. 3/2/89 n. 39, tenuto dalla Camera di Commercio. La suddetta legge prevede all’art. 5 comma 3 le incompatibilità. Tra queste è indicata (lett. b) l’esercizio di attività imprenditoriali e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate. Ne consegue che non è consentito all’iscritto in albi professionali di svolgere la detta attività.
Per la professione di amministratore di condomini esistono associazioni di categoria.



COORDINATORE DELLA SICUREZZA E COLLAUDATORE STATICO
Domanda: sono compatibili l'incarico di Coordinatore della Sicurezza ex D.Lgs. 494/96 e quello di Collaudatore Statico delle opere strutturali?

L’art. 10 d.lgs. 494/96 e s.m. ed i. indica i requisiti che deve possedere il coordinatore per la sicurezza; non indica, invece, le ipotesi di incompatibilità. L’art. 7 L. 1086/71 prevede, al co. 2, che “il collaudo deve essere eseguito da un ingegnere o da un architetto, iscritto all’albo da almeno dieci anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione ed esecuzione dell’opera”.
Ancorchè dalla lettura degli artt. 4 e 5 d. lgs. 494/96 non si rinvengano ipotesi di intervento diretto dei coordinatori sul progetto o sull’esecuzione dell’opera, salvo che per le parti dei medesimi interessate dal piano di sicurezza, pare evidente che vi siano possibili interferenze di costoro tanto nella redazione del progetto che nella direzione ed esecuzione dei lavori. Di qui, una ovvia ragione di prudenza che sconsiglia di far coincidere il collaudatore statico con uno dei coordinatori. Tale coincidenza è, invece, del tutto vietata laddove il coordinatore abbia anche assunto il ruolo di progettista e/o direttore dei lavori per l’espresso divieto contenuto nel citato art. 7 L. 1086/71.



SUBENTRO IN INCARICHI PROFESSIONALI
Domanda: devo subentrare in un incarico, in precedenza affidato ad altro professionista. Cosa devo fare?

L’architetto chiamato a subentrare in un incarico precedentemente affidato ad un collega deve, in base a quanto stabilito dall’art. 37 delle Norme di Deontologia Professionale in vigore:
1. preventivamente informare per iscritto il collega;
2. accertarsi del contenuto del precedente incarico e che esso sia stato formalmente revocato;
3. verificare prima dell’accettazione dell’incarico le prestazioni già svolte dal collega al fine di salvaguardare i compensi da questi maturati.
Tutto ciò con il massimo scrupolo poiché non si può fare pieno affidamento sulle assicurazioni del committente che sovente è piuttosto vago ed impreciso in proposito.
Si consiglia di non considerare sufficiente una comunicazione verbale o telefonica e nemmeno un eventuale incontro in cantiere con il collega cui si subentra, ma di ricorrere ad una comunicazione formale a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.
Per altro l’architetto al quale subentri un collega, pure nel caso che l’incarico non gli sia stato revocato, non ha alcun titolo per dare o negare il proprio assenso all’assunzione dell’incarico da parte del collega subentrante, e ciò neanche nel caso che egli non sia stato saldato o addirittura che il committente si rifiuti di corrispondergli il compenso maturato, salvo beninteso il diritto di intraprendere un’azione legale per ottenerne il pagamento, azione che tuttavia non ha alcuna rilevanza per quanto concerne il comportamento del subentrante sempre che questo abbia ottemperato al suddetto punto 3 dell’art. 37.



COMPETENZE PROFESSIONALI DI ARCHITETTO, INGEGNERE E GEOMETRA
Domanda: richiesta di delucidazioni in merito alle competenze professionali spettanti alla figura dell'architetto, dell'ingegnere e del geometra.

E’ possibile individuare un testo normativo nel quale in modo dettagliato si individuano limiti e le sovrapposizioni della professione.
Nonostante siano passati molti anni nessuna modifica è intervenuta dal punto di vista legislativo e di conseguenza la competenze degli ingegneri e degli architetti continuano ad essere disciplinate dal R.D. 2537/1925 agli artt. 51 e ss., mentre quelle dei geometri sono rinvenibili negli artt. 16 e ss. del R.D. 274/1929. Certamente negli anni sono intervenute numerose pronunce giurisprudenziali che hanno contribuito a volte a precisare, a volte ad allargare, altre a restringere l'ambito delle competenze per ciascuna categoria professionale, ma il legislatore non ha mai modificato i testi normativi di riferimento. Assai di recente il D.P.R. 328 del 5.06.2001(che trova pubblicato sul nostro sito) è intervenuto operando modifiche e integrazioni di alcuni ordinamenti professionali e individua, a grandi linee, anche i relativi ambiti di competenza.



QUALITA’ DI SOCIO E INCARICO PROFESSIONALE PER LA SOCIETA’
Domanda: si può essere affidatari di incarichi professionali da parte di una societa’ della quale si è socio?

Il profitto ricavabile dall’attività costituente l’oggetto sociale è un profitto della società, non già dei soci. Spetterà all’assemblea dei soci di stabilire, posto che la società ottenga utili, se ed in quali termini gli utili possano essere distribuiti. Il profitto dell’architetto socio sarà, perciò, un reddito di capitale o di partecipazione; non già un reddito professionale. Quanto al fatto che la società affidi ad un proprio socio (che ne abbia le caratteristiche professionali) l’incarico di redigere progetti e dirigere i lavori, nulla può ostare in proposito: è evidente che si tratta di incarico professionale e che come tale va trattato (anche dal punto di vista remunerativo).



CARICA DI AMMINISTRATORE DI SOCIETA’
Domanda: può un architetto ricoprire la carica di amministratore di una società?

Il contenuto professionale delle prestazioni “riservate” dalla legge agli architetti non esclude che costoro possano svolgere altro tipo di attività, di contenuto diverso, purchè esso non sia incompatibile con l’esercizio professionale di architetto. Sotto tale profilo, l’assunzione di cariche amministrative in seno ad una compagine societaria non è vietato dall’ordinamento: con ciò si intende dire che la legge non indica che agli architetti è consentito di amministrare società come espressione tipica della loro professionalità. La legge individua l’oggetto dell’esercizio professionale protetto, quello, cioè, che può essere esercitato solo dall’architetto iscritto all’Albo. Poiché l’attività di amministratore di imprese non è attività protetta, potrebbe, al più, essere previsto dalla legge che la professione di architetto sia incompatibile con l’amministrazione di imprese. Orbene, un siffatto divieto non è contemplato dalla legge e, dunque, gli architetti possono amministrare imprese: si ritiene, tuttavia, che laddove la qualifica di amministratore coincida con quella di socio illimitatamente responsabile (accomandita semplice per l’accomandatario e società in nome collettivo), è del tutto opportuno che non vi sia netta commistione tra le due attività atteso che, in caso di fallimento dell’impresa, fallirebbe anche il socio illimitatamente responsabile con conseguente sua cancellazione dall’albo professionale.



DIRITTO D’AUTORE E PUBBLICAZIONE DELL’OPERA
Domanda: il committente che abbia liquidato il professionista per l’opera eseguita può pubblicare l’opera stessa di sua iniziativa?

Se il committente non chiede l’autorizzazione al progettista alla pubblicazione del progetto viola l’art. 2577 cc che dispone che spetta all’autore il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente. Nei tempi attuali ciò vale per qualunque tipo di pubblicazione, compresa quella su internet, trattandosi sempre di una forma di “esternalizzazione” dell’opera stessa. Tra l’altro, il concetto è ribadito dall’art. 16 L. 633/41 che attribuisce il diritto all’autore di diffondere in esclusiva la sua opera utilizzando i mezzi che il legislatore dell’epoca conosceva. Adeguando il principio agli odierni mezzi di diffusione a distanza, anche internet dovrebbe esservi ricompreso.
Qualora poi qualcuno, ove fosse possibile, utilizzasse il progetto pubblicato senza l’autorizzazione dell’autore (anche modificandolo o appropriandosi dell’idea che lo sorregge), ci si troverebbe a fronteggiare la responsabilità concorrente dell’utilizzatore maldestro e del committente (che con le violazioni di cui sopra vi ha dato causa) per aver violato i diritti dell’autore dell’opera di cui agli artt. 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 bis L. 633/41.



ARCHITETTO E SOCIETA’ DI SERVIZI IMMOBILIARI
Domanda: un architetto che svolge attività professionale per una società di servizi immobiliari può nel contempo svolgere per la medesima società attività di segnalazione di immobili da vendere?

L’esercizio della professione di architetto è certamente incompatibile con l’attività di intermediazione immobiliare, per la quale, tra l’altro, occorre l’iscrizione presso l’apposito elenco tenuto dalla competente CCIAA. Parimenti l’attività di segnalazione di immobili da vendere, cioè una sorta di procacciamento di affari in favore della società per la quale svolge attività professionale è attività vietata, anche perché le somme che il professionista percepirebbe non sarebbero conseguenza dell’espletamento di attività professionale ma, semmai, di attività commerciale. Non vi sono problemi, invece, per quanto attiene all’eventuale attività di rilievo e progetto di ristrutturazione degli immobili di cui si occupi la società di servizi immobiliari.



STUDIO TECNICO ASSOCIATO
Domanda: costituendo uno studio tecnico associato quali responsabilità si assumono in relazione a progetti passati e futuri?

La responsabilità professionale è, di norma, attribuibile al professionista che redige l’atto professionale; se quest’ultimo, poi, è ascrivibile all’attività dello studio associato, allora dell’attività dell’associato risponde, solidalmente con l’estensore, anche lo studio stesso. Questa affermazione vale, ovviamente, nei rapporti con i terzi: all’interno dei rapporti, i singoli associati, tra loro e verso lo studio, possono normare i rispettivi ambiti di responsabilità come meglio ritengono. Così, ad esempio, se un atto professionale è stato svolto prima della costituzione dell’associazione, parrebbe logico ritenere che la responsabilità relativa non debba gravare sull’associazione stessa mentre, per gli atti professionali compiuti da un associato in costanza di associazione e con la spendita del nome di quest’ultima, parrebbe altrettanto logico che l’associazione ne risponda verso i terzi e che tra gli associati siano questi ultimi a definire in quale modo la responsabilità del singolo possa riverberarsi verso gli altri associati. Una particolare ipotesi di responsabilità (riferibile non tanto alle associazioni ma alle società professionali o alle società di ingegneria) è stata normativamente introdotta dall’art. 17 L. 109/94 e s.m. ed i. ed attiene alla responsabilità del direttore tecnico della società che, avendo i requisiti previsti dalla legge per svolgere quella funzione, controfirma gli atti dell’associazione e ne assume, perciò, la responsabilità (unitamente a quella dell’estensore e della società) verso i terzi. Come si vede, anche laddove la legge ha normato le ipotesi di esercizio collettivo della professione, lo schema riprodotto non si discosta di molto da quello tradizionale. Da ultimo, non è inutile rammentare che i disegni di legge che si sono occupati della materia fino ad ora senza mai raggiungere la dignità di un intervento normativo organico hanno tutti previsto l’introduzione di una assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dall’esercizio professionale: ancorché non codificata, non pare superfluo rammentare che siffatta cautela è certamente consigliabile, specie laddove la compresenza di più soggetti operanti possa far correre il rischio ad un soggetto estraneo alla specifica attività di dover rispondere, per il fatto associativo, del fatto di altro soggetto.



CONCOMITANZA TRA ATTIVITA’ PROFESSIONALE E ALTRE ATTIVITA’:
Domanda: è possibile esercitare altre attività in concomitanza con l’esercizio dell’attività professionale di architetto? Quali sono le avvertenze?

La legge 1395/1923 e il R.D. 2537/1925, disciplinanti la professione dell’architetto, non vietano agli architetti di svolgere altre diverse attività oltre quella di professionista, tuttavia l’esercizio della professione di architetto può essere soggetto a limitazioni che determinano situazioni di incompatibilità: esse sono tassative e previste da disposizioni di legge e si riferiscono sia a divieto di esercizio di altre professioni o attività, sia, in caso di rapporto di lavoro dipendente, a precise regolamentazioni dell’attività professionale.
In linea di massima, però, non è incompatibile con l’attività professionale l’assunzione di cariche sociali all’interno di società commerciali e la titolarità ed il possesso di quote di partecipazione nelle medesime, anche quando ciò comporti l’assunzione di responsabilità illimitata.
E’ evidente, però, che l’esercizio di attività imprenditoriale/commerciale sottopone il soggetto imprenditore a tutti i possibili rischi connessi a tale esercizio, primo tra tutti il rischio del fallimento. Poiché la dichiarazione di fallimento è causa ostativa all’iscrizione all’Albo professionale e la sua declaratoria, una volta iscritto, comporta l’automatica cancellazione, le regole dell’ordinaria prudenza devono essere ben presenti al professionista che intenda percorrere tali strade.
Vi sono, poi, situazioni nelle quali il contemporaneo esercizio di attività, tutte riconducibili alla professione, può essere causa di situazioni di conflitto in ragione dei singoli ruoli esercitati: si pensi, ad esempio, a quelle eventualità in cui il professionista, progettista e direttore dei lavori, sia anche il titolare dell’impresa che realizza l’intervento.
Orbene, sotto tale profilo, è opportuno richiamare l’attenzione degli iscritti al rigoroso rispetto della normativa deontologica (in particolare, dell’art. 21) e sottolineare l’importanza essenziale, ad evitare conflitti successivi, del fatto
a) che sia reso ben chiaro (possibilmente in forma scritta) al committente il contenuto del o degli incarichi di cui l’iscritto è destinatario ed i rispettivi ruoli con cui egli ne dà esecuzione, specie laddove i medesimi possano dare adito a situazioni di conflitto, anche solo potenziale;
b) che siano tenuti ben distinti compiti e ruoli tra loro diversi e di ciascuno di essi e della singola evoluzione della specifica attività sia data puntuale ed esaustiva comunicazione al committente;
c) che, per la richiesta e la rivendicazione del compenso pattuito, siano rese al committente dettagliate note esplicative delle prestazioni svolte con riferimento ai singoli ruoli (ed ai diversi contratti) con cui le stesse sono state eseguite.
Di solito le vertenze che insorgono, per lo più a fine lavori, riguardano la qualità delle opere eseguite, ma sovente si estendono anche alla contestazione delle prestazioni professionali svolte che la committenza sostiene essere comprese nell’appalto, per cui in carenza di contratti chiari ed espliciti al riguardo ed in difetto di un regolare documento di incarico professionale la controversia risulta più intricata e perciò di incerta soluzione.
Si raccomanda quindi – nel loro interesse – ai colleghi che operassero anche in tali campi di cautelarsi oculatamente in modo da evitare i malintesi, le contestazioni ed i conflitti che potrebbero insorgere all’atto del saldo delle spettanze, facendosi sempre rilasciare una lettera di incarico professionale – doverosa in casi del genere sopra descritto – in aggiunta e con esplicito riferimento al contratto d’appalto, nel quale risulti esplicitamente riconosciuta la partecipazione del professionista nell’impresa a cui sono appaltati i lavori, e siano chiaramente e dettagliatamente specificate le prestazioni che formano l’oggetto dell’incarico; ciò con particolare riguardo alla Direzione Lavori, poiché nella fattispecie il professionista si troverebbe a controllare per conto del Committente i lavori da lui eseguiti come imprenditore, il che appare come un non senso e potrebbe prestarsi a contestazioni non prive di fondamento.



RIFLESSIONI SU RUOLO E RESPONSABILITA’ DEL DIRETTORE DEI LAVORI:
Domanda: quali sono le incombenze e le responsabilità proprie del Direttore dei Lavori?

In base all’esperienza maturata in oltre 7 anni di attività della Commissione Contenzioso dell’Ordine si sono individuati taluni punti critici nel rapporto fra committenza e professionista architetto; si tratta di questioni sulle quali a causa di malintesi e di carenti cognizioni circa le norme di merito, si aprono sovente incresciose e talora assurde vertenze che bisognerebbe aver cura di evitare.
Una delle questioni più frequenti riguarda i compiti e le responsabilità del Direttore dei Lavori al quale spesso e volentieri – magari allo scopo venale di tagliare i compensi richiesti ritenuti eccessivi – viene imputata la responsabilità dei difetti veri o presunti riscontrati nelle opere realizzate.
Poiché nelle modeste opere – in specie di ristrutturazioni – eseguite per conto di privati da piccole imprese spesso scarsamente efficienti, succede facilmente che siano riscontrabili vizi, errori e ritardi si presentano sovente occasioni di controversia in cui finiscono per essere coinvolti anche i Direttori dei lavori.
E’ parere dell’Ordine, sulla scorta di un’ampia giurisprudenza consolidata in proposito, che unico responsabile dell’esecuzione dei lavori sia l’impresario che ha assunto l’appalto e che il D.L. il quale ha esclusivamente compiti di controllo, sia responsabile soltanto dell’accertamento, della contestazione all’impresa e della segnalazione al committente degli eventuali errori, difformità, difetti e ritardi che avesse da riscontrare nel corso dei lavori e di cui tenere conto in sede di collaudo finale. E’ evidente che il D.L. che riscontri la necessità di intervenire in corso d’opera per correggere errori, sanare vizi e difformità ed esigere l’esecuzione a regola d’arte deve provvedervi con appositi ordini o disposizioni di servizio scritte da notificare all’impresa e, per conoscenza, al committente anche all’evidente fine di evitare il proprio coinvolgimento per pretese responsabilità omissive.
Eventuali responsabilità al riguardo del D.L. devono essere idoneamente comprovate: cioè non è sufficiente la sussistenza di vizi di esecuzione per sostenere inadempienze da parte del D.L., ma deve essere dimostrato che questi non è tempestivamente intervenuto per contestarli, registrarli e , laddove possibile, emendarli.
Ciò detto occorre precisare che la Direzione dei Lavori non è una prestazione meramente nominale, ma comporta un effettivo e tempestivo controllo dell’andamento dei lavori e la puntuale e precisa denuncia degli inconvenienti che fossero riscontrati.
In tal senso è necessario che il professionista incaricato della D.L. provveda a cautelarsi ragionevolmente documentando per iscritto i propri interventi di contestazione all’impresa e di segnalazione al committente degli errori, difformità, difetti e ritardi accertati con un’attenta vigilanza sui lavori e ciò anche nel caso che sia opportuno tenerne conto solo in sede di collaudo finale per non guastare nel corso dei lavori i delicati rapporti fra impresario e committente.



ACCESSO IN CANTIERE AI NON ADDETTI AI LAVORI
Domanda: l’architetto che ha ricevuto incarico di direzione dei lavori e coordinatore per la sicurezza per determinati lavori può/deve permettere l’accesso in cantiere a non addetti ai lavori? E se si trattasse di persone incaricate dalla committenza di controllare i lavori eseguiti?

Laddove sia necessario accertare la qualità, quantità e corretta esecuzione dei lavori eseguiti, il soggetto che commissioni tale verifica ha titolo, personalmente o a mezzo di propri incaricati, di eseguire le ispezioni del caso. Ciò deve avvenire in situazione che garantisca costoro di non dover subire alcuna conseguenza fisica dal proprio accesso: ma tutto ciò, per la verità, è insito nell’obbligo stesso di tutelare la sicurezza nei confronti di tutti coloro che, a titolo legittimo, debbano accedere al cantiere. In altri termini, ancorché si tratti di avvocato ed ingegnere di un condomino, potenzialmente avversari, il loro diritto di accesso, come quello di qualsivoglia altro soggetto che acceda al cantiere, deve essere salvaguardato non già perché siano soggetti “speciali” ma perché il piano di sicurezza dovrebbe, di per sé, salvaguardare chiunque debba, per qualsivoglia ragione, accedere al cantiere ed al ponteggio. E’, poi, utile segnalare agli iscritti che, ove si tratti di sopralluogo finalizzato alla verifica dei lavori eseguiti, non sarebbe inopportuno che i predetti soggetti fossero accompagnati da qualcuno, capace e competente, nell’interesse del condominio committente.



DICHIARAZIONI DI FINE ATTIVITA’ DA PARTE DI EX PROFESSIONISTI:
Domanda: qualora si abbandoni l’attività professionale per una attività da dipendente con obbligo di esclusiva e un incarico professionale pregresso si fosse interrotto repentinamente con sostituzione di professionista, ci si può rifiutare di dare corso alle richieste di dichiarazioni varie dell’ex cliente o del nuovo professionista inerenti lo stesso incarico?

Qualora si trattasse della relazione conclusiva che il direttore dei lavori deve rilasciare a conclusione dei lavori stessi la dichiarazione è dovuta soltanto sul presupposto che l’iscritto abbia effettivamente svolto l’attività di direzione dei lavori e sia, quindi, in grado di attestare che i lavori eseguiti corrispondano a quelli oggetto della Dia. Rilevo, peraltro, che qualora il rapporto professionale si sia interrotto durante lo svolgimento dei lavori, il professionista subentrante può attestare egli stesso la regolare esecuzione dei medesimi esonerando, pertanto, il professionista cessato da ogni incombenza al riguardo. Se, invece, il tutto si fosse svolto sotto l’egida dell’iscritto, egli, ancorché oggi occupato presso altro datore di lavoro, è tenuto a svolgere tale incombente e ciò non contrasta affatto con l’obbligo di esclusiva che egli avesse contratto con il nuovo datore di lavoro trattandosi di “coda” di precedente attività svolta. Qualora si trattasse più semplicemente della dichiarazione che, per effetto della interruzione del rapporto professionale, nulla osti a che subentri all’iscritto altro professionista. pare del tutto ovvio che la dichiarazione vada rilasciata sul presupposto che effettivamente nulla osti al subentro del nuovo professionista.



PROGETTI SU SUPPORTO INFORMATICO E DIRITTI D’AUTORE:
Domanda: in caso di interruzione di incarico e affidamento dello stesso ad altri professionisti, i primi incaricati hanno l’obbligo, dietro richiesta del committente, di consegnare oltre alle tavole di progetto anche i file dwg di autocad del progetto stesso?

Partendo dal presupposto che il contenuto cartaceo ed il contenuto su dwg siano identici, diverso essendo semmai il mezzo con cui gli elaborati sono resi disponibili (e, dunque, la facilitazione ad operare sui medesimi), la titolarità dell’opera dell’ingegno non può essere messa in discussione in nessuno dei due casi: essa appartiene a chi ha elaborato i progetti. Ne consegue che gli iscritti dovranno decidere se ed in quali termini chiarire al committente che gli elaborati consegnati non possono essere “manipolati” da altri fino a snaturarli, senza riconoscere, nel contempo, ai titolari del diritto di proprietà delle opere dell’ingegno consegnate il diritto di sfruttamento del loro lavoro, diritto che, come è ovvio, può essere ceduto a fronte del pagamento del corrispettivo. Dunque, credo che sia del tutto legittimo che, cedendo gli elaborati, gli iscritti si facciano pagare anche l’eventuale sfruttamento dei medesimi da parte del committente (a mezzo di altri professionisti). Essi, comunque, rimangono titolari dei diritti sull’opera dell’ingegno a che la stessa mantenga le sue caratteristiche di opera dell’ingegno, a che, dunque, essa non venga snaturata fino a renderla irriconoscibile. In quest’ultimo caso, spetta ai medesimi la titolarità dell’azione giudiziale a che ciò non avvenga. Se il committente non è soddisfatto dell’opera ricevuta, può ovviamente farla rifare: ma il rifacimento è altra opera, non già snaturamento dell’opera precedente.



IMPRESA APPALTATRICE E ACCESSO IN CANTIERE PER LE DITTE SUB-APPALTATRICI
Domanda: può la ditta appaltatrice di determinati lavori per un committente privato impedire l’accesso in cantiere alle ditte sub- appaltatrici nonostante la regolare registrazione di queste da parte del direttore della sicurezza?

L’impresa appaltatrice è legata alla committenza da un contratto di appalto: sulla base del contenuto del medesimo, sarà agevole verificare se sia stato previsto il subappalto o meno, se cioè il contratto di appalto preveda che i lavori debbano essere eseguiti totalmente o meno dall’appaltatore. La previsione del piano di sicurezza al riguardo non può essere individuata quale indice della necessaria presenza di subappaltatori che, come detto, deve essere prevista nel contratto di appalto. Il piano di sicurezza registra, semmai, che cosa debba avvenire sotto tale profilo in caso di contemporanea presenza in cantiere di più imprese. Nel caso in cui il contratto di appalto preveda la presenza di subappaltatori, l’impresa appaltatrice non può vietare a costoro di accedere al cantiere poiché, se così facesse, viola il patto contrattuale e si rende inadempiente alle obbligazioni assunte con il committente. Se tale stato di cose perdurasse fino alla paralisi del cantiere o, quanto meno, al ritardo nei tempi di consegna dei lavori, il committente, dietro relazione del direttore dei lavori che attesti quanto testè detto, può contestare alla impresa l’inadempimento attribuendo alla medesima un termine congruo (15 gg.) per rimuovere la situazione di ostacolo. Se, ciò nonostante, l’ostacolo permanesse, il committente può risolvere il contratto di appalto, licenziare l’appaltatore e sostituirlo con altra impresa. In questa eventualità, sarebbe buona cosa che, all’atto dell’abbandono del cantiere, fosse redatto in contraddittorio uno stato dei luoghi e dei lavori onde evitare, in futuro, un contenzioso quanto meno sulle cose fatte e sulla qualità della loro esecuzione.



VERSAMENTO DELLA QUOTA DI ISCRIZIONE ALL’ALBO PROFESSIONALE PER GLI ARCHITETTI DIPENDENTI PUBBLICI
Domanda: a chi spetta versare la quota annuale di iscrizione per i dipendenti pubblici : all’ente o all’iscritto?

E’ difficile riscontrare all’interno delle previsioni dell’art. 17 L. 109/94 e s.m. ed i. una disposizione dalla quale ricavare con certezza a chi competa l’onere conseguente all’iscrizione di un proprio dipendente all’Ordine o al Collegio professionale. L’art. 17 co. 2, infatti, si limita ad osservare che i soggetti destinatari di incarichi di progettazione devono “essere abilitati all’esercizio della professione”, con la nota esclusione limitata ai tecnici diplomati in possesso dei requisiti professionali ivi indicati. Nulla è detto riguardo all’onere dell’iscrizione. Verrebbe da dire, di riflesso, che laddove il dipendente, come nella specie, sia destinato a svolgere unicamente attività per la quale sia richiesta l’abilitazione, le conseguenze impositive siano da addebitare all’Ente che fruisce delle sue prestazioni ma, al contrario, è da osservare che l’abilitazione è requisito per essere assunti e che, quindi, essa costituisce un titolo che il candidato deve preventivamente possedere per poter accedere all’impiego pubblico, con conseguenti oneri a suo carico. A ciò si aggiunga che anche i dipendenti delle P.A. possono, nei limiti consentiti, svolgere attività libero professionale, attività progettuale (o comunque protetta) in favore di soggetti diversi dall’ente di appartenenza. Cosicché, l’Ente si troverebbe a favorire il proprio dipendente anche per ragioni estranee al rapporto di impiego. Rilevo, inoltre, che laddove il legislatore abbia inteso accollare all’Ente un onere economico in materia di progettazione, lo ha detto esplicitamente (art. 106 dpr 554/99), specificando addirittura la percentuale di spesa che deve gravare sull’Ente. Ne dovrebbe conseguire che, nel silenzio del legislatore, l’onere dell’iscrizione all’Ordine debba gravare sul soggetto iscritto.



SOSTITUZIONE DI COLLEGA IN UN COLLAUDO PER OPERA PUBBLICA
Domanda: quali termini di consegna si devono rispettare in caso di sostituzione di un collega che precedentemente aveva ricevuto l’incarico per il collaudo?

E’ del tutto evidente che i termini stabiliti per l’effettuazione del collaudo per il secondo professionista incaricato decorreranno dal momento in cui questo viene nominato collaudatore, essendo estranei alla sua volontà gli accadimenti precedenti riguardanti il precedente professionista.



ARCHITETTO DIPENDENTE DI SPA ISCRITTO ALL’ALBO E PARTECIPAZIONE A CONCORSI DI ARCHITETTURA
Domanda: quali sono i limiti per un architetto in tale situazione per la partecipazione ai concorsi in architettura? Può partecipare come consulente ad equipe di progettazione? E per quanto riguarda l’eventuale iscrizione a Inarcassa?

Il requisito di iscrizione all’Albo professionale è espressamente previsto dall’art. 57 co. 2 dpr 554/99 per la partecipazione ai concorsi di idee. Per i concorsi di progettazione, nulla è esplicitamente detto ma viene da pensare che se l’iscrizione è richiesta per un’attività tutto sommato di minor valenza professionale rispetto al concorso di progettazione (che si traduce, nella sostanza, nella predisposizione di un progetto preliminare) altrettanto non potrebbe non essere richiesto per i concorsi di progettazione. L’iscrizione all’Albo, come è noto, è requisito diverso rispetto all’iscrizione alla Cassa che, però, va effettuata nel momento in cui il soggetto è iscritto all’Albo (per la quota fissa) ed esercita attività professionale (per la quota proporzionale).
Il rapporto di collaborazione con un soggetto che partecipa al concorso possedendone i requisiti non è vietato. E’ chiaro che deve essere precisato il ruolo svolto all’interno dell’equipe mentre la sottoscrizione dell’elaborato deve comunque essere attribuita al partecipante munito dei titoli richiesti.



ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESA
Domanda: esiste una legge che regola i pagamenti alle ATI che stipulano un contratto per un incarico di progettazione con un ente pubblico?

Non esiste una legge che regola i pagamenti delle ATI. Esistono diverse forme di ATI, in particolare quelle orizzontali e quelle verticali. In quelle orizzontali, ciascuno dei partecipanti fa un pezzo dell’attività ed è pagato per il pezzo di attività svolta. In quelle verticali, l’organizzazione del lavoro è riservata ai partecipanti che, con patto interno, regolano le diverse attività ed i conseguenti compensi. In quest’ultimo caso, l’Amministrazione riconosce il capogruppo ed al medesimo si rivolge e con lui intrattiene tutti i rapporti, compreso il pagamento delle prestazioni. Si tratta di capire quale sia l’ipotesi che interessa in ciascuna fattispecie. Laddove fosse la prima, non è dubbio che ciascuno emetta la propria nota e debba essere pagato autonomamente per il lavoro svolto.



EQUIPOLLENZA TRA LAUREA IN ARCHITETTURA E LAUREA IN INGEGNERIA DELL’AMBIENTE E DEL TERRITORIO
Domanda: non essendo prevista in un bando di concorso la possibilità di partecipazione ai laureati in Architettura, si può sostenere con l’ente banditore l’esistenza di una equipollenza per legge con la laurea in Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio?

Parrebbe non esistere alcun automatismo che determini la equipollenza della laurea richiesta per la partecipazione al concorso con altri titoli di studio. Anzi, di solito è proprio il bando del concorso, laddove lo richieda, ad indicare che, ai fini della partecipazione vanno bene anche titoli equipollenti a quello richiesto. Né può essere sostenuto che la semplice redazione della propria tesi di laurea nella materia oggetto del bando sia da considerarsi necessariamente requisito sufficiente all’uopo. Poiché, però, vi è una evidente attinenza, credo sia del tutto legittimo che l’interessato presenti la sua domanda allegando, in particolare, il suo precipuo indirizzo di studi nella materia che è oggetto del concorso. Esiste poi una procedura da attivare presso il MIUR, ma per questa occorrerà richiedere ogni informazione direttamente al MIUR.



EQUIPOLLENZA TRA LAUREA IN ARCHITETTURA E LAUREA IN INGEGNERIA EDILI

Domanda: ai fini della partecipazione ad un concorso pubblico per ingegneri edili, la laurea in Architettura può essere considerata titolo equipollente a quello previsto dal bando?

Non ci risulta che esista una norma che dichiari l’equipollenza tra i titoli di studio della laurea in architettura ed in ingegneria edile. Esistono alcune pronunce giurisprudenziali che, in particolari situazioni e di fronte a specifiche previsioni di norme regolamentari interne delle singole amministrazioni, abilitano alla partecipazione a concorsi pubblici in materie tecniche comuni ai due corsi di laurea entrambe le tipologie di laurea predette.
Così non può che essere anche nel caso in questione, laddove si rinvia alla declaratoria di equipollenza tra le due lauree ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici. Pur in assenza di norma specifica (tranne che nel regolamento del personale dell’Amministrazione in questione sussista una declaratoria di equipollenza), si pensa che valga la pena di presentare la domanda allegando il titolo di studio di cui si dispone e, semmai, di valutare, in presenza di una eventuale esclusione della domanda, l’opportunità di impugnare giudizialmente tale esclusione.



FORMA DI ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE
Domanda: quali sono le forme associative professionali oggi consentite dalla legge? E le cooperative?

La risposta al quesito in questione è facilmente ricavabile dalla lettura dell’art. 17 L. 109/94 (e dagli artt. 53 e 54 dpr 554/99) che, per le società tra professionisti, ammette anche la forma cooperativa, peraltro non vietata anche per le società di ingegneria.
Quanto ai vantaggi ed agli svantaggi, essi attengono soprattutto agli aspetti fiscali ed operativi della scelta: occorre tenere in considerazione soprattutto la finalità per la quale si intende costituire un organismo plurisoggettivo.



APPLICAZIONE ART. 18 DELLA LEGGE MERLONI (L. 109/94)
Domanda: può la società concessionaria di opere pubbliche di cui si è professionisti dipendenti non applicare l’art. 18 L. 109/94 e non costituire il fondo interno di incentivo?

Ancorché l’art. 18 L. 109/94 non ne faccia espresso riferimento, si pensa che la costituzione del fondo interno di incentivo ivi previsto debba essere prevista anche per le società concessionarie di opere pubbliche, trattandosi di fondo derivato dall’uno per cento del costo preventivato di un’opera o di un lavoro ovvero dal 50 per cento della tariffa professionale relativa ad un atto di pianificazione generale, particolareggiata o esecutiva. La mancata costituzione del fondo può, quindi, essere denunciata in sede giudiziale con richiesta al Giudice competente (il Tribunale sezione lavoro territorialmente competente) di accertare l’esistenza del detto obbligo e di condannare la società concessionaria alla costituzione del fondo. Il riparto delle somme così accantonate dipende dal regolamento interno di cui al co. 1 bis e, in assenza del medesimo, si ritiene possa anch’esso essere determinato in sede giudiziale: si tratta, pur sempre, di una quota di trattamento economico spettante ai soggetti ivi individuati e, come tale, tutelabile giudizialmente.
Si pensa, altresì, che ciascuno dei partecipanti alla redazione diretta dei progetti o dei piani abbia titolo a rivendicare, nei limiti del suo contributo diretto, la quota di spettanza: e ciò anche se l’apporto del singolo è limitato ad una o alcune delle fasi progettuali.



DIRITTI D’AUTORE E INCARICO PARZIALE
Domanda: avendo fatto solo il progetto preliminare e quello definitivo, ma non quello esecutivo (che è stato realizzato da altro professionista) di un’opera ci si può avvalere dei diritti d’autore sul progetto?

L’art. 2578 cc, nel tutelare i diritti dell’autore di progetti di lavori di ingegneria o di altri lavori analoghi che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici, non pone alcuna distinzione (né avrebbe potuto farlo, stante la successione delle leggi nel tempo) tra il tipo di progetto cui il diritto debba riferirsi: ciò che rileva, si pensa, è il contenuto della prestazione. Se lo stesso, pur nei limiti delle prime due fasi di progettazione, ha le caratteristiche richieste, si crede possa essere tutelato dalla norma in questione.



ISCRIZIONE ALL’ALBO DEGLI ARCHITETTI E CONTEMPORANEAMENTE A QUELLO DEGLI AGENTI DI COMMERCIO
Domanda: vi è incompatibilità tra le due iscrizioni? E con l’iscrizione ad Inarcassa?

In linea generale, non si rilevano incompatibilità all’esercizio contemporaneo delle attività di architetto e di agente di commercio. Per gli architetti, i requisiti di iscrizione all’Albo sono indicati nel rd 2537/25 e successive integrazioni; per gli agenti di commercio, la L. 204/85 ed il dm 21/8/95 prevedono, come ragione di incompatibilità all’iscrizione al relativo albo, l’attività di lavoro dipendente presso persone, associazioni o enti, privati o pubblici e con l’iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione.
Quanto all’aspetto contributivo, si rileva, invece, che:
a) l’iscrizione alla Cassa architetti è obbligatoria per coloro che esercitano la libera professione con carattere di continuità;
b) sono esclusi dall’iscrizione alla Cassa ex art. 2 L. 11/11/71 n. 1046, gli ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata.
Si tratterebbe, allora, di accertare se la norma da ultimo richiamata (art. 21 L. 6/81) consenta o meno la doppia iscrizione (il tenore letterale della disposizione sembrerebbe escluderlo) onde evitare che, al momento opportuno, si scopra di non poter fruire del trattamento pensionistico per il periodo in cui si è esercitata congiuntamente la duplice attività.



OBBLIGO DI STIPULA DELLA POLIZZA ASSICURATIVA PER RESPONSABILITA’ CIVILE PREVISTA DALLA LEGGE MERLONI
Domanda: tale obbligo sussiste per incarichi affidati in data anteriore al dpr 554/99?

Ci pare che la polizza non vada esibita poiché ciò che rileva è la data dell’incarico, anteriore all’entrata in vigore del dpr 554/99. Sul presupposto che l’esecuzione del medesimo sia stata avviata prima della data suddetta (novembre 1999).
L’art. 105 dpr 554/99 co. 4 impone al progettista l’esibizione della polizza “contestualmente alla sottoscrizione del contratto”. Se la sottoscrizione del contratto risale a data anteriore all’entrata in vigore del dpr in questione, tale obbligo non sussiste.



PROGETTI DI ALLACCIAMENTO ALLA FOGNA COMUNALE
Domanda: un architetto può progettare gli allacciamenti di case di privati alla fogna comunale esistente?

Secondo la nota interpretazione del concetto di “edilizia civile” che riassume in sé anche la facoltà di progettare quegli interventi di servizio ed a supporto della specifica attività di edificazione, si ritiene che sia senz’altro possibile per un architetto progettare l’allacciamento di un immobile privato alla fognatura comunale. Le pronunce di segno contrario in proposito si sono, infatti, espresse riguardo alla progettazione di opere di urbanizzazione primaria, tra cui tratti di fognatura intesa come tale. Ma si tratta di fattispecie del tutto diversa, come è agevole intuire.


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